Il caso non esiste, o se esiste non è altro che il modo attraverso cui Dio, un dio qualsiasi da qualche parte, si diverte a modificare la sceneggiatura della vita. Guardando Cuore Sacro si riesce subito a capire come l’ironia della casualità e la sua assoluta perfezione riescano ad alterare sensibilmente non solo la nostra realtà, ma il nostro modo di concepire l’esistenza stessa. Basta un solo attimo, un solo battito. Un solo battito di quel cuore nascosto che tutti noi possediamo, ma di cui non riusciamo a scorgere la luce.

Irene Ravelli è una giovane imprenditrice di successo, il suo lavoro è tutta la sua vita, e non c’è spazio per nient’altro. E’ esattamente ciò che le ha sempre insegnato la zia Eleonora, con cui divide la gestione della secolare azienda di famiglia e che ordina e coordina, in qualche modo, tutto ciò che riguarda Irene. Ma nel loro passato c’è qualcosa di misterioso, tenuto nascosto da menzogne e verità mai raccontate, che ora torna paurosamente a galla: la ristrutturazione del vecchio palazzetto di famiglia diventa occasione per Irene di entrare nella vecchia stanza di sua madre. Nessuno mai le ha raccontato di lei, nessuno mai le ha spiegato chi era, e nessuno ha voluto raccontarle come è morta. Ma adesso, quelle scritte che Irene trova sui muri, quei segni di una pazzia religiosa incontrollata, diventano per lei dei rumori troppo forti, delle grida che dal passato reclamano la sua attenzione e la sua coscienza spirituale. Sarà l’incontro con una curiosa bambina, Benny, a determinare in lei un radicale cambiamento e a guidarla verso una strada che mai avrebbe immaginato: abbandonare la sua vita da ricca imprenditrice e dedicarsi completamente ai poveri. Trasforma il palazzetto in una mensa gratuita, fa volontariato, regala i suoi averi, e perde – o trova, molto più probabile – il contatto con il suo vero io. Ma Benny, quella bimba così irruente ed estroversa non resterà con lei per sempre, e Irene non saprà mai cosa ha rappresentato realmente nella sua vita.

La narrazione è scandita da un ritmo sereno, mai noioso, e colorato da tutta una serie di espedienti cinematografici che regalano al film un totale senso di pace. Il regista è in grado di creare un clima talmente delicato e confortevole che lo spettatore ha quasi voglia di far parte della storia. Non è propriamente un film che invita alla riflessione, non è incentrato su una qualsiasi grande tematica di rilievo sociale – la povertà ad esempio; ma poggia lo sguardo sul processo di cambiamento che un essere umano può affrontare. L’attenzione è totalmente riservata all’evoluzione sentimentale, cognitiva, psicologica oserei, della protagonista. La sua voglia di trovare le risposte al suo passato così incerto la inducono a cercare in modo spasmodico un qualsiasi contatto divino, il contatto religioso che le è sempre mancato. Ma le risposte sono un’entità occulta; qualcosa che non si vede subito, non si è abituati a farlo. Le risposte, spesso, si manifestano a noi prima ancora delle domande. Ma questa è una cosa che capisce solo lo spettatore, Irene Ravelli non lo saprà mai.

Un encomio particolare è da rivolgere alla magistrale colonna sonora di Andrea Guerra che, ancora una volta, dopo “La finestra di fronte”, si affianca alle opere di Ozpetek e torna a meravigliarci con sonorità di rara bellezza. La bravura degli attori protagonisti, Barbora Bobulova come Irene e una promettente Camille Dugay Comencini come Benny, non sono di certo un fattore secondario responsabile dell’altissima qualità di questo film. Se continua così, Ozpetek rischia di diventare uno dei migliori registi del cinema italiano.

“Ognuno di noi possiede due cuori, uno, quello più razionale, eclissa l’altro che emana un calore e una luce di cui nessuno può fare a meno. Quello è un cuore sacro.”