Si pronuncia come si legge. Una comodità della lingua italiana, questa, che semplifica la vita ai parlanti nativi e a molti studenti stranieri. Con le sue regole ortografiche e fonetiche, l’italiano è una delle poche lingue in cui la maggior parte dei grafemi (le singole lettere scritte) hanno un loro corrispondente sonoro specifico. Grande vantaggio, sicuramente, anche per chi soffre di disturbi del linguaggio.

Anche il linguaggio, come ogni organo o apparato del nostro corpo, ha le sue patologie e i suoi disturbi. Da un lato esistono patologie che potremmo definire “fisiche”, legate cioè a malfunzionamenti degli organi che servono per la fonazione – ad esempio le corde vocali – o a problemi di articolazione, che incidono sull’emissione vocale; dall’altro esistono patologie strettamente collegate alle aree del cervello in cui risiedono le capacità comunicative e che vanno a modificare in maniera più complessa la produzione strutturale della lingua.

Per molti anni si è creduto che la dislessia fosse una malattia, ma non è così. E non riguarda neanche direttamente il linguaggio inteso come espressione verbale. Si tratta di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento ed è una difficoltà connessa alla capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Ha a che fare solo con uno specifico dominio di abilità (lettura, scrittura e calcolo) e lascia intatte le funzioni intellettive generali. Colpisce il 3-4 % della popolazione scolastica e si manifesta con errori e lentezza nella lettura o con una difficoltà di comprensione del testo scritto.

L’International Dyslexia Association ha recentemente definito la dislessia come “una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica derivante da un deficit nella componente fonologica del linguaggio”. Ciò significa che se per un non-dislessico è automatico associare il segno scritto /a/ al suono [a], per un dislessico c’è bisogno di un ragionamento non del tutto istintivo. È per questo che non è possibile apprendere la lettura o la scrittura nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento, ed è anche questa la ragione per cui – viste le premesse – i dislessici italiani sono di meno rispetto a quelli inglesi, ad esempio, che hanno una lingua che “non si pronuncia come si legge”.

Esistono numerosi tipi di dislessia che riguardano i diversi livelli della lingua (fonologico, lessicale, semantico) in maniera più o meno profonda, ma la cosa importante è identificare il disturbo in età scolare per poter intervenire con terapie personalizzate. Gran parte del lavoro di riconoscimento, dunque, è nelle mani degli insegnanti che dovrebbero intraprendere percorsi di insegnamento alternativi e specifici per i dislessici, capendo in prima persona che chi soffre di dislessia non è incapace di apprendere, ma ha semplicemente un modo diverso di farlo.

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