Il dialetto romano è la varietà linguistica locale della zona di Roma, parlato perlopiù nella città e nelle aree immediatamente circostanti. Fa parte dei dialetti mediani, che come tutte le lingue romanze del gruppo italico discendono dal latino volgare. La sua storia è piuttosto atipica e ricca di contaminazioni esterne: contrariamente a quanto accaduto per gli altri dialetti centro-meridionali, il romanesco ha subito un forte condizionamento del dialetto toscano durante il Rinascimento, tanto da modificarne tratti e strutture grammaticali. È questa una delle ragioni per cui il romano assomiglia più degli altri dialetti all’italiano ufficiale. Questa vicinanza è così forte a tal punto che parlanti di altre regioni riescono a comprendere facilmente il romanesco, ma non i dialetti di altre zone del Lazio. Questa sua chiarezza ed immediatezza hanno fatto sì che molte volte fosse declassato a mero accento o cadenza locale.

In realtà il romanesco, che merita a tutti gli effetti il titolo di dialetto, deve la sua grande diffusione e comprensibilità anche ad altri apporti esterni. I flussi migratori che hanno portato decine di migliaia di persone nella nuova capitale a partire dal 1871, hanno fatto sì che dialettofoni di tutta Italia non solo imparassero il romanesco, ma contaminassero con la loro lingua lo stesso romano. È lì che nacque il cosiddetto “romanaccio”, una sorta di neodialetto a metà fra l’originario romanesco e il nuovo miscuglio di modi di dire ed espressioni provenienti da tutta la nazione. Ad oggi queste due realtà si sono sovrapposte, dando origine, appunto, ad un romano piuttosto standardizzato e alla portata di tutti.

Il successivo avvento del cinema, specialmente di quello neorealista, hanno dato al romanesco una popolarità ancora maggiore, rendendolo spesso protagonista di grandi pezzi di storia della cinematografia italiana. Una notorietà, questa, che con il tempo è stata deviata e incastrata in stereotipi spiacevoli: nel corso della sua storia, la televisione ha sempre proposto un cliché di romano ignorante e volgare, attribuendo valori di basso livello ai sui tipici tratti distintivi.

Quando qualcuno vuole fare il verso ad un romano, la prima cosa che fa è mettere la /r/ al posto della /l/ (per esempio “dolce” diventa “dorce”), alludendo ad una qualche incapacità di parlare correttamente, senza sapere che questo fenomeno – detto rotacismo –  non solo è comune a molti altri dialetti, ma è presente anche nel fiorentino più tradizionale e stretto, da cui deriva l’italiano. Oppure si cominciano a troncare parole (vede’ al posto di vedere), aggravandolo con un tono sgraziato che non ha ragione di esistere.

Tuttavia, il dialetto romano ha anche una sua dimensione letteraria di grande rilievo: poeti come Giuseppe Gioachino Belli, Trilussa, Cesare Pascarelli o Mario Dell’Arco, sono considerati dei veri e propri maestri, che con i loro componimenti hanno contribuito a costruire una vera e propria cultura romanesca.

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