Il nostro è un mondo di parole. La realtà percepita dai sensi è costantemente tradotta in lingua: una serie potenzialmente infinita di etichette mentali che hanno smesso di rappresentare il reale, per diventare il reale stesso. La capacità di linguaggio è da sempre mistero e al contempo vanto per l’uomo; un’entità astratta che veste ogni nostro movimento, come un abito alla moda che cresce e cambia con noi. Ma come cambia davvero una lingua?

La lingua ha una struttura piuttosto stabile, difficile da modificare. Per struttura intendiamo la composizione di una frase e la collocazione degli elementi grammaticali da cui è composta. Ciò che davvero evolve è il lessico: l’inventario di parole che quotidianamente maneggiamo dando vita a vocaboli nuovi e declassandone altri che riteniamo obsoleti. Le forme di cambiamento sono principalmente i prestiti linguistici, esterni e interni. È noto quanto l’inglese abbia apportato – e continui a farlo – termini nuovi ormai entrati a pieno titolo nel lessico italiano (es. shopping, baby-sitter, meeting, week-end) o accezioni diverse a verbi esistenti, come realizzare nel senso di “rendersi conto” (accezione che esisteva solo in inglese).

Sono però frequenti anche le operazioni di rivalutazione semantica di parole che riguardano un certo settore e a cui vengono attribuiti significati diversi in un altro ambito. Basta guardare qualsiasi talk-show per rendersi conto di come la politica abbia saccheggiato il linguaggio calcistico e lo abbia riciclato: oggi dire che qualcuno entra in politica suona antico, adesso si scende in campo.

Ma le parole nascono anche da nuove invenzioni. Basti pensare a tutti i sostantivi che internet ha inserito nel lessico: da website a email, da download a chat. Parole, queste, una volta moderne e prestigiose, che hanno già fatto il loro tempo: oggi non si chatta più, si twitta un pensiero; non ci si preoccupa più del phishing, tanto si è taggati ovunque. Fare il giornalista è demodé: adesso se non sei anche un blogger, non sei credibile.

Tuttavia, la lingua ha anche un grande spirito conservativo, soprattutto nei modi di dire. Da oltre dieci anni usiamo l’euro, eppure nessuno ha smesso di lamentarsi perché non ha una lira; e si sa, manca sempre una lira per farne due. Ancora, nonostante l’uomo abbia smesso di fare battaglie a cavallo, si continua a spezzare lance a favore di qualcuno. E in questo modo innumerevoli altre locuzioni nasceranno e moriranno, rendendo viva una lingua in continua evoluzione.

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