I modi di dire sulla Capitale: chi va a Roma perde…

Se avete pensato “la poltrona”, è perché non solo siete italiani, ma sotto sotto siete anche un po’ degli storici. Ogni lingua porta con sé intere generazioni, valori e principi di una popolazione, che si registrano e tramandano in forme linguistiche sempre nuove, tra cui proverbi e modi di dire.

Una città come Roma, da sempre centro di numerose vicende storiche, non poteva non trovare un posto privilegiato nella rosa dei detti italiani. Si riscontrano circa venti modi dire su Roma di uso quotidiano – tra cui solo una piccola percentuale di origine romana – ciascuno con una sua genesi precisa.

La maggior parte dei detti utilizza la Capitale come simbolo di grandezza, tra cui “Roma non è stata costruita in un giorno” oppure “Roma fu fatta un po’ per volta”; ma ci sono anche quelli che vedono la Città Eterna come centro indiscusso di ogni cosa, come “Tutte le strade portano a Roma” o il più eccentrico “Roma è la capitale del mondo”. Non manca poi l’occhio critico – estremamente attuale – che nella grandezza vede sempre qualcosa di inconcluso: “Roma è come la Fabbrica di San Pietro, non finisce mai”.

E questo riferimento a San Pietro è solo l’apripista di un’altra lunghissima serie di modi di dire legati alla religione, che ci fanno scoprire un popolo romano e italiano piuttosto irritato. “Quando a Roma ce s’è messo er piede, resta la rabbia e se ne va la fede” potrebbe essere il lapidario titolo di una fantasiosa lista di frecciatine come: “Roma veduta, religione perduta” o “Chi sta lontano da Roma sta più vicino a Dio”, con annesse varianti dialettali tipo “Chi a Roma vo’ gode’, s’ha da fa frate”. È un paradosso per una città così cattolica come questa, no?

Per fortuna però, gli italiani sono molto autoironici e sanno prendere alla leggera certi piccoli drammi nazionali; e pur mantenendo citazioni di matrice religiosa, partoriscono detti simpatici come “A Roma Iddio nun è trino, ma quatrino”, alludendo al fatto che giri tutto intorno al denaro, o “Come andare a Roma e non vedere il Papa”, che lega la Capitale e la Chiesa con un’ovvia induzione. Da non dimenticare poi l’utilizzo di un nome tipicamente biblico in “Cercare Maria per Roma”, che può essere considerata la versione regionale del famoso ago nel pagliaio.

Esiste inoltre una minoranza di detti legati agli abitanti di Roma. Non è difficile trovare italiani di altre regioni che al ristorante pagano il conto “alla romana”, cioè ognuno la sua parte, ed è un vanto per molti poter dire che “Li romani parlano male, ma pensano bene”.

Non sono da trascurare infine tutte quelle espressioni che manifestano un orgoglio campanilistico: se a qualche politico venisse ancora l’idea di utilizzare lo slogan “Roma ladrona”, sicuramente arriverebbe una risposta corale del tipo: “L’unica cosa bella a Milano è il treno per Roma” o “Se a Roma ci fosse il porto, Napoli sarebbe un orto”, giusto per mettere le cose in chiaro sia a Nord che a Sud.

Quanti modi abbiamo per dire sesso?

“Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s’è spento…”. Questi i versi di Giovanni Pascoli, da “Il gelsomino notturno”, in cui racchiude in una metafora (la luce accesa di una finestra che si spegne) e in soli tre punti di sospensione, l’idea di due persone che spengono la luce per fare l’amore.

Siamo tutti poeti e non lo sappiamo. Fin da bambini impariamo a incastrare suoni, lettere e parole, per costruire i nostri pensieri e gettarli al di fuori. Quello che diciamo e come lo diciamo è lo specchio della società in cui viviamo, con le sue tradizioni e la sua sensibilità. Il nostro spirito artistico ci ha fatto inventare attorno al linguaggio un’arte, quella del dire e quella del non dire, con cui realizziamo ogni giorno delle vere e proprie “opere comunicative”.

Capita spesso di trovarsi a parlare di cose potenzialmente imbarazzanti e si tende a utilizzare strategie linguistiche per alleggerire il peso semantico di certe espressioni. Gli strumenti principali sono la perifrasi, ossia un giro di parole che ne sta a significare solo una, e l’eufemismo, figura retorica che consiste nell’uso di vocaboli riduttivi che attenuino il carico espressivo di ciò che si intende affermare.

Il sesso è uno degli argomenti su cui amiamo dire di più senza dire davvero. Per cultura ed educazione personale, non è facile per tutti dire fare sesso o fare l’amore e si preferisce alludere. Esiste, ad esempio, un gran numero di locuzioni eufemistiche legate al luogo in cui lo si fa più di frequente, come andare a letto insieme, portare a letto qualcuno o il più romantico amarsi sotto le lenzuola.

È sorprendente poi che in certe costruzioni si celino micro unità di significato che apportano alla frase delle connotazioni aggiuntive. Per esempio, potrebbe sembrare che il rapporto sessuale nella coppia sposata sia un peso, ascoltando modi di dire come adempiere ai doveri coniugali. Per non parlare del matrimonio, che va addirittura consumato.

In realtà non c’è nulla di allarmante. La maggior parte di noi prende le cose piuttosto alla leggera e sono tantissime anche le espressioni ironiche. Piace a tutti, da adulti, giocare al dottore col proprio partner e sono innumerevoli le forme di stampo, per così dire, onomatopeico del tipo fare snù snù, fare friki friki o il più recente e famigerato bunga bunga.

Lasciando da parte l’infinito vocabolario di registro volgare e i diffusissimi fare le cose zozze, fare le cosine e fare quelle cose lì, arriviamo dritti ad un punto interessante. Il sesso è così centrale, che è riuscito ad annidare tutto il suo significato in un solo dimostrativo: quello. Basta semplicemente dire farlo. Lo hai fatto? Lo avete già fatto? Questa particella lo, con funzione di complemento oggetto, contiene in due lettere e in un’unica fonazione, tutta la grandezza di un comportamento umano primordiale. Non è forse poesia?

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