«Dateci le scuole per i nostri figli»

Servono nuovi edifici a Castelverde, villaggio Prenestino, Lunghezzinae Corcolle. Il municipio ha il record negativo delle liste d’attesa

A Ponte di Nona non ci sono più scuole». «Per i bambini delle materne e delle primarie, qui non c’è più posto». È quanto denunciano i comitati di Ponte di Nona e Colle degli Abeti, che hanno organizzato per oggi una pesante manifestazione di protesta. Il corteo di cittadini partirà alle 10 da piazza Muggia e seguirà le principali vie del quartiere per contestare le condizioni di estrema urgenza in cui si trovano le giovani famiglie romane. Nelle due scuole materne della zona ci sono solo 167 posti in totale, a fronte di oltre 600 domande: un dato allarmante per un Municipio che negli ultimi dieci anni ha conosciuto un aumento demografico del 38.5%, che ha costruito per questo molte case, ma nessuna scuola statale.

Una totale mancanza di servizi, un paradosso che fa arrabbiare i cittadini e li fa scendere in piazza: «L’assenza di adeguate strutture scolastiche ha creato una vera e propria emergenza nel nostro quartiere – si legge nella lettera inviata dai comitati al sindaco e agli assessori – nella scuola dell’infanzia abbiamo il record negativo delle liste d’attesa di tutta Roma». La protesta dei residenti è duplice: se da una parte si reclama l’apertura di nuovi edifici, come quello di via Rosciano con 75 posti e una materna nel complesso di Prampolini, dall’altra c’è l’esigenza di ottimizzare al più presto i posti a disposizione negli attuali edifici scolastici. Quelli statali si dividono in due istituti comprensivi, Ponte di Nona Vecchio e Nuovo Ponte di Nona, che in totale contano 5 scuole primarie e 2 materne. Insufficienti, troppo poche. Una preoccupazione che aveva già manifestato a dicembre 2012 lo stesso istituto comprensivo Nuovo Ponte di Nona in una lettera di risposta ai comitati, in cui parlava di una «grave carenza di aule per accogliere gli alunni della scuola primaria».

Preoccupazioni e sollecitazioni inviate al Municipio, questa e molte altre, che non hanno dato ancora i frutti sperati. Marco Di Cosimo, consigliere comunale e presidente della commissione urbanistica del Comune di Roma, a Gennaio aveva dato conto della situazione ai cittadini, anticipando l’apertura di nuovi edifici nelle zone di Castelverde, Ponte di Nona, Villaggio Prenestino, Lunghezzina e Corcolle. Tutti progetti per i quali il corteo di oggi intende fare pressione agli organi competenti, vista la grande emergenza e l’esasperazione delle famiglie nel non saper dove mandare a scuola i propri figli o nel doverli iscrivere in istituti lontani dalle zone di residenza.

Il dialetto romanesco e la voce di Roma

Il dialetto romano è la varietà linguistica locale della zona di Roma, parlato perlopiù nella città e nelle aree immediatamente circostanti. Fa parte dei dialetti mediani, che come tutte le lingue romanze del gruppo italico discendono dal latino volgare. La sua storia è piuttosto atipica e ricca di contaminazioni esterne: contrariamente a quanto accaduto per gli altri dialetti centro-meridionali, il romanesco ha subito un forte condizionamento del dialetto toscano durante il Rinascimento, tanto da modificarne tratti e strutture grammaticali. È questa una delle ragioni per cui il romano assomiglia più degli altri dialetti all’italiano ufficiale. Questa vicinanza è così forte a tal punto che parlanti di altre regioni riescono a comprendere facilmente il romanesco, ma non i dialetti di altre zone del Lazio. Questa sua chiarezza ed immediatezza hanno fatto sì che molte volte fosse declassato a mero accento o cadenza locale.

In realtà il romanesco, che merita a tutti gli effetti il titolo di dialetto, deve la sua grande diffusione e comprensibilità anche ad altri apporti esterni. I flussi migratori che hanno portato decine di migliaia di persone nella nuova capitale a partire dal 1871, hanno fatto sì che dialettofoni di tutta Italia non solo imparassero il romanesco, ma contaminassero con la loro lingua lo stesso romano. È lì che nacque il cosiddetto “romanaccio”, una sorta di neodialetto a metà fra l’originario romanesco e il nuovo miscuglio di modi di dire ed espressioni provenienti da tutta la nazione. Ad oggi queste due realtà si sono sovrapposte, dando origine, appunto, ad un romano piuttosto standardizzato e alla portata di tutti.

Il successivo avvento del cinema, specialmente di quello neorealista, hanno dato al romanesco una popolarità ancora maggiore, rendendolo spesso protagonista di grandi pezzi di storia della cinematografia italiana. Una notorietà, questa, che con il tempo è stata deviata e incastrata in stereotipi spiacevoli: nel corso della sua storia, la televisione ha sempre proposto un cliché di romano ignorante e volgare, attribuendo valori di basso livello ai sui tipici tratti distintivi.

Quando qualcuno vuole fare il verso ad un romano, la prima cosa che fa è mettere la /r/ al posto della /l/ (per esempio “dolce” diventa “dorce”), alludendo ad una qualche incapacità di parlare correttamente, senza sapere che questo fenomeno – detto rotacismo –  non solo è comune a molti altri dialetti, ma è presente anche nel fiorentino più tradizionale e stretto, da cui deriva l’italiano. Oppure si cominciano a troncare parole (vede’ al posto di vedere), aggravandolo con un tono sgraziato che non ha ragione di esistere.

Tuttavia, il dialetto romano ha anche una sua dimensione letteraria di grande rilievo: poeti come Giuseppe Gioachino Belli, Trilussa, Cesare Pascarelli o Mario Dell’Arco, sono considerati dei veri e propri maestri, che con i loro componimenti hanno contribuito a costruire una vera e propria cultura romanesca.

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I modi di dire sulla Capitale: chi va a Roma perde…

Se avete pensato “la poltrona”, è perché non solo siete italiani, ma sotto sotto siete anche un po’ degli storici. Ogni lingua porta con sé intere generazioni, valori e principi di una popolazione, che si registrano e tramandano in forme linguistiche sempre nuove, tra cui proverbi e modi di dire.

Una città come Roma, da sempre centro di numerose vicende storiche, non poteva non trovare un posto privilegiato nella rosa dei detti italiani. Si riscontrano circa venti modi dire su Roma di uso quotidiano – tra cui solo una piccola percentuale di origine romana – ciascuno con una sua genesi precisa.

La maggior parte dei detti utilizza la Capitale come simbolo di grandezza, tra cui “Roma non è stata costruita in un giorno” oppure “Roma fu fatta un po’ per volta”; ma ci sono anche quelli che vedono la Città Eterna come centro indiscusso di ogni cosa, come “Tutte le strade portano a Roma” o il più eccentrico “Roma è la capitale del mondo”. Non manca poi l’occhio critico – estremamente attuale – che nella grandezza vede sempre qualcosa di inconcluso: “Roma è come la Fabbrica di San Pietro, non finisce mai”.

E questo riferimento a San Pietro è solo l’apripista di un’altra lunghissima serie di modi di dire legati alla religione, che ci fanno scoprire un popolo romano e italiano piuttosto irritato. “Quando a Roma ce s’è messo er piede, resta la rabbia e se ne va la fede” potrebbe essere il lapidario titolo di una fantasiosa lista di frecciatine come: “Roma veduta, religione perduta” o “Chi sta lontano da Roma sta più vicino a Dio”, con annesse varianti dialettali tipo “Chi a Roma vo’ gode’, s’ha da fa frate”. È un paradosso per una città così cattolica come questa, no?

Per fortuna però, gli italiani sono molto autoironici e sanno prendere alla leggera certi piccoli drammi nazionali; e pur mantenendo citazioni di matrice religiosa, partoriscono detti simpatici come “A Roma Iddio nun è trino, ma quatrino”, alludendo al fatto che giri tutto intorno al denaro, o “Come andare a Roma e non vedere il Papa”, che lega la Capitale e la Chiesa con un’ovvia induzione. Da non dimenticare poi l’utilizzo di un nome tipicamente biblico in “Cercare Maria per Roma”, che può essere considerata la versione regionale del famoso ago nel pagliaio.

Esiste inoltre una minoranza di detti legati agli abitanti di Roma. Non è difficile trovare italiani di altre regioni che al ristorante pagano il conto “alla romana”, cioè ognuno la sua parte, ed è un vanto per molti poter dire che “Li romani parlano male, ma pensano bene”.

Non sono da trascurare infine tutte quelle espressioni che manifestano un orgoglio campanilistico: se a qualche politico venisse ancora l’idea di utilizzare lo slogan “Roma ladrona”, sicuramente arriverebbe una risposta corale del tipo: “L’unica cosa bella a Milano è il treno per Roma” o “Se a Roma ci fosse il porto, Napoli sarebbe un orto”, giusto per mettere le cose in chiaro sia a Nord che a Sud.