Il 14 ottobre arriva nelle sale italiane I want to be a soldier. Il film, firmato dal regista spagnolo Christian Molina, racconta la storia di Alex, bambino di dieci anni affascinato e persuaso dalle continue immagini di guerra che vede in Tv, e che lo convincono a voler diventare un soldato.

Il ragazzo, inizialmente buono e pieno di sogni, si trasformerà in un bullo appassionato di armi e uccisioni. Una produzione italo-spagnola, questa, che vuole accendere i riflettori su uno dei problemi più pesanti della società moderna: la violenza. La violenza come fatto, ma anche come spettacolo; una violenza che viene insegnata tacitamente ai bambini, attraverso la solitudine familiare a cui sono abbandonati. È una storia – ma è anche una società, la nostra – che evidenzia come l’uomo civilizzato abbia ormai perso la sua civiltà nel culto indiscriminato per l’aggressivo, lasciando che la guerra diventasse mezzo e messaggio al tempo stesso.

Un film, insomma, che denuncia la televisione e i new media come vetrine del macabro, come maestri ignoranti che abituano i giovani alla rabbia dei gesti e dei vocaboli. Ma è un lavoro che parla anche della difficoltà di dialogo nella famiglia e che sottolinea la perversione dei nuovi mezzi di comunicazione.

Il problema non è tanto il tipo di notizia che viene raccontato, quanto il modo in cui viene data un’informazione – spiega il regista Christian Molina alla prima del film – ci troviamo in un sistema informativo che per diffondere una notizia sceglie di trasmettere sempre le immagini più violente, anche quando non è necessario“.

E di questo ci si rende direttamente conto guardando il film che, con un montaggio innovativo, unisce riprese cinematografiche a diverse immagini reali di guerra, di telegiornali, di videogiochi, documentari e perfino cartoni animati violenti. Tutti video originariamente trasmessi in Tv durante fasce protette o selezionati da siti Internet di libero accesso. Un’idea, questa, che caratterizza il film, ma che rischia di fargli guadagnare il bollino rosso per i minori di 14 anni.

Tuttavia si tratta di un prodotto educativo che intende far riflettere prima di tutto gli adulti – ha spiegato Valeria Marini, co-produttrice e interprete del film, in conferenza stampa – ne sono molto orgogliosa perché contiene un messaggio importante, raccontato in modo intelligente, come solo il cinema sa fare“.

Il film, inoltre, ha ricevuto il patrocinio della Moige (Movimento Italiano Genitori) che per la prima volta dalla sua nascita patrocina un film, e ha vinto il premio Marc’Aurelio Alice nella Città al Festival Internazionale del Film di Roma 2010.

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